Non chiamiamola terza guerra mondiale

Un interruttore acceso e poi, di colpo, quell’interruttore si spegne… e non si può più tornare indietro. E’ così che è arrivato il Covid. E’ così che l’ho avvertito io. E per non dimenticarmi di questo periodo ho deciso di scriverci su e di estrapolare il buono che questa cosa, tanto maligna quanto dolorosa, mi ha insegnato. Perché il buono deve vincere sempre e non solo nelle favole.

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La vita scorreva fluida come sempre… la solita routine pensavamo in tanti, le stesse cose, i soliti casini da risolvere… fino a quando improvvisamente queste abitudini ci sono state tolte.
Solo allora i problemi che prima ci sembravano grandi, sono diventati in un attimo nulla, solo allora la routine che prima denigravamo e reputavamo noiosa, ci è sembrata la miglior vita possibile.

Guardavamo in televisione ciò che stava accadendo da alcuni mesi in Cina, ma sembrava così lontano… e nessuno certo si aspettava che di lì a poco un virus si sarebbe insinuato nelle nostre vite, tanto da stravolgerle.
Guardavamo la tv con distacco e indifferenza, come spesso accade per le cose che non ci riguardano in prima persona.
Perché se una cosa non ti tocca, allora non ci soffri. Ma è davvero così?

E poi in men che non si dica siamo passati dall’essere spettatori al divenire protagonisti.
In un lampo la frase “E’ poco più di un influenza” è stata soppiantata da “Questo virus uccide ed è molto pericoloso!”.
Quei tg ora parlano di noi e non più dello “straniero”.
In poco tempo diventiamo un caso, “Il caso italiano”, con numeri di contagiati e morti che fanno paura.

Il mondo ci vede come degli appestati e invece di farci sentire il loro sostegno e il loro appoggio “gli stranieri” prendono le distanze da noi.
Corrono notizie a destra e a sinistra. Nessuna certezza, solo ipotesi. I casi salgono e lo zapping alla tv ha un unico tema: il Covid.

Il 6 marzo è il compleanno di mio papà, ma non ce la sentiamo di andare a cena fuori. Non così.
Opto per una cena a sorpresa a casa mia. Non sarà la stessa cosa, ma ho cucinato uno dei miei piatti forti, la paella, e per l’occasione ho sperimentato la Torta Zebrata.
Ci rifaremo appena la situazione migliorerà, ci diciamo.
Due giorni dopo è l’8 marzo, la festa della Donna.
Quest’anno volevo portare fuori a cena la mamma, ma anche qui non ce la sentiamo. Raggiungo i miei per il pranzo, ma prima mi fermo al bar per prendere una piccola torta Mimosa.

Il virus è in pieno circolo, ci raccomandano di stare distanti, ma i bar sono stracolmi di gente. Mi chiedo… sono io a sopravvalutare la situazione o gli altri a sottovalutarla?
Non riesco a fermarmi nemmeno per un caffè al volo.
Prendo la torta e scappo. Ho paura.
Quel contatto con le persone che prima ricercavo e amavo così tanto, ora mi spaventa.

E’ l’8 marzo ed è l’ultimo giorno in cui sono stata insieme alla mia famiglia.
Di lì a poche ore è stata messa una croce sulla nostra vita di prima e un bel punto interrogativo sul futuro.
Come una bolla quando scoppia in aria. Non si sa più nulla di lei… di che fine farà.

Dovete restare a casa, dobbiamo restare a casa.
Per limitare i contagi, per ridurre il numero dei morti e cercare di contenere il più possibile i danni di questa tragedia.
Niente più abbracci, niente più strette di mano, niente più uscite, niente più sport. E per molti niente più lavoro.

Inizia il lockdown. Chi l’aveva mai sentita questa parola prima?
Uscire solo lo stretto necessario, con un’apposita certificazione, altrimenti ci si beccherà una bella sanzione.
Uscire con una mascherina per proteggersi e per proteggere.
Una mascherina? Sì lo so sembra assurdo, eppure è così.

Sembra si tratti di due settimane, passerà ci diciamo,e poi torneremo alla vita di prima.
Ingenui.. la vita di prima non tornerà.
Perchè se anche le cose torneranno al loro posto, saremo noi ad essere cambiati.
O almeno, questo è quello che mi auguro, perché se una situazione simile non ti cambia è preoccupante.
Sarebbe come dire che ti lasci trasportare dagli eventi e ne sei succube… invece ogni cosa deve insegnare, specie una cosa così.

Nonostante i divieti e le continue raccomandazioni che passano dai media, la gente sembra non aver capito la gravità della situazione.
Nemmeno la morte insegna.
E dire che questa non è una morte normale.
Chi muore di Covid lo fa da solo
, senza il dolore e la vicinanza dei suoi cari. Lo fa senza un funerale.

Le prime stime attestano che sono gli anziani quelli più in pericolo, o comunque chi, è un po’ più avanti con gli anni.
Notizia che poi verrà smentita perché il virus non chiede la carta d’identità.
Non ci penso un attimo. D’istinto sarò io ad andare a fare la spesa anche per i miei genitori, anche se non sono anziani.

Qualcuno dice che amare significa mettere la vita di qualcun altro prima della tua.
Io non so se questa sia la definizione più giusta di un sentimento tanto grande, ma so per certo che non ho mai avuto nessun dubbio in questo periodo su cosa fare e a chi dare la precedenza.

Voi prima di me.
Così è per me.

Proteggere e pensare prima a chi amo rispetto a me.
Senza dubbi, esitazioni o tentennamenti. Di getto, come succede per l’amore vero e sincero.

Il mio gesto d’amore è stato ed è quello di fare la spesa.
Una cosa che prima mi divertiva molto e che ora si è trasformata in un atto di coraggio e attenzione.

Nel corso delle settimane ho sviluppato una vera e propria tecnica per farla al meglio e nel minor tempo possibile: fare rigorosamente una lista il più possibile chiara, suddividere frutta e verdura dal resto e raggruppare le cose per scaffali, così da sapere esattamente dove cercarle.

Indossa la mascherina, prendi le distanze da chi ti è vicino, igienizza il carrello, indossa i guanti… ah già… un paio non basta, se prendi frutta e verdura devi indossarne un secondo… e fare in fretta. Questi gli step da seguire.
E poi suddividi la spesa in buste differenti e infine scaricala.

Vi lascio la spesa sulla porta…” e vederli lì… a un passo da te, ma non poterli abbracciare.
Il dolore più grande, che solo le persone sensibili come me potranno comprendere.
Devi proteggerli, ti ripeti, e poi non appena sali in macchina hai le lacrime agli occhi.
… Vanno bene le persone che non sono fisiche, che non amano il contatto, mi ripeto tra me e me.

E quando finalmente riapro la porta di casa sorrido. Ora uscire è diventato un pericolo e  in fondo io amo la sensazione di casa e tutto ciò che vi si respira.

La situazione non migliora e il lockdown si allunga.
Ciò che succede in Italia inizia ad espandersi a macchia d’olio anche in altri paesi e improvvisamente chi ci aveva deriso e ripudiato ora ci prende come esempio.

Il mio lavoro nel mondo degli eventi è stato tra i primi ad essere fermato.
Dopo i primi giorni di totale smarrimento, cerco di ricrearmi una nuova day routine.

Niente più lavoro? E allora studiamo.
Niente più palestra? Alleniamoci da casa.
Niente più ristoranti? Cuciniamo e sperimentiamo.
Bisogna resistere e farlo anche per chi sta soffrendo o non c’è più.

Decido di non ascoltare più il tg, le notizie negative e il pessimismo influenzano il mio umore e io non voglio permetterlo.
Tra gli amici e le amiche c’è chi si lamenta perché costretto a stare a casa, chi non sopporta più di stare h24 con la famiglia, chi si lamenta del partner… la noia sembra essere il pensiero predominante delle persone.
Ok, stare obbligatoriamente a casa non fa piacere a nessuno, ma avete capito cosa si rischia, perché lo stiamo facendo?

La noia non è nulla confronto alla morte.
Ma questo sembra non essere chiaro.
Siamo nelle nostre case, con tutti gli agi possibili e immaginabili e abbiamo il coraggio di lamentarci?

Decido di leggere l’ennesimo libro sull’antisemitismo e i campi di concentramento. Quale periodo migliore, se non questo?
Qualcuno ha definito quello che stiamo vivendo come la “terza guerra mondiale” e mentre leggo quelle pagine non posso che pensare a quanto questa definizione sia lontana anni luce dalla realtà.

E’ vero, ci sono le morti, tantissime, e incancellabili, c’è il dolore e la sofferenza di un virus di cui ancora si sa ben poco e ci sarà una crisi economica che avrà ripercussioni nei mesi a venire, ma chi ha la fortuna di essere vivo, nella maggior parte dei casi ha il privilegio di stare insieme ai propri cari e di trovare nella propria casa un porto sicuro.

Come facciamo a definire noioso stare insieme a chi amiamo?
Come possiamo vedere la noia quando sentiamo di migliaia di persone che continuano a morire?
Ancora con il fatto… ciò che non ti tocca non ti tange? Come facciamo ad essere così freddi ed insensibili?
Non possiamo paragonare tutto questo a ciò che è successo anni fa… quando milioni di persone, private dei propri affetti e lontani dalle loro case, affrontarono stenti, lavori pesanti e torture inumane per salvare un paese e rivendicare la libertà di ogni individuo.
Le parole hanno un peso e non possiamo buttarle così, solo perché non sappiamo gestire la noia.

Ecco perché all’ennesimo messaggio di amiche che si lagnano per la noia decido di prendere le distanze.
Per affrontare al meglio questo periodo devo fare conto solo sulle mie forze, essere positiva e crearmi una nuova day routine che tenga lontano pessimismo e brutti pensieri.
Il sonno tranquillo ormai l’abbiamo perso… ma sulla giornata posso e devo lavorarci.

Dipende tutto da me.
Prendiamo questo periodo per imparare, sperimentare, fare cose nuove, riflettere… mi ripeto.
Se dovessi riassumere la mia quarantena probabilmente lo farei così “Ho imparato ad amarmi di più!”.

Amo fare sport e se non posso andare in palestra nessuno mi impedisce di allenarmi, se pur in casa.
Ho la fortuna di avere un bello spazio per farlo e così vai di esercizi.
Il fisico è collegato al cervello e se lui sta bene anche la nostra testa sarà più serena.

Ho iniziato a fare yoga e meditazione e ho capito quanto sia importante controllare i nostri pensieri, affinchè questi non ci portino in direzioni sbagliate.

Cucino. Cucino tanto e sperimento.
Se hai letto il mio post sul vivere hygge sai che amo cucinare, quindi questa quarantena forzata non è stata una scoperta per me.
Questi giorni di reclusione a casa mi hanno però dato l’opportunità di sperimentare piatti mai provati, di dedicarmi a ricette più lunghe, di lavorare tanto con le farine.
Insomma… mi sto amando di più, anche in cucina.

E poi leggo, scrivo, pulisco e guardo film, ma solo la sera. Non ho voluto prendere l’abitudine né della sveglia a tarda mattina, né della tv durante il giorno, ma ho lasciato tutto come prima del lockdown.

Certo, la vita di prima mi manca terribilmente e da essere umano quale sono, ho avuto anch’io momenti difficili in questa quarantena.
Spesso nella stessa giornata mi sono ritrovata a piangere, ridere, ridere e piangere.
E con una nostalgia da domare.

Mi mancano gli abbracci con la mia famiglia, i caffè con le amiche, gli aperitivi, le uscite, il lavoro…
Mi manca quel sentirsi parte di qualcosa che avvertivo durante i grandi eventi… ma in qualche modo quel senso di appartenenza lo sento quasi più forte ora, quando vedo la gente che canta dai terrazzi, le bandiere dell’Italia appese o gli striscioni con gli arcobaleni disegnati dai bambini.

Coloro anch’io il mio piccolo arcobaleno e lo appendo in casa, pensando a quando torneranno gli abbracci e quei colori riprenderanno a splendere.
E se per caso qualche brutto pensiero raggiungerà la mia mente, lui sarà lì, a ricordarmi di lottare perchè #andràtuttobene.

arcobaleno andrà tutto bene

E’ arrivata la Pasqua.
Avrei dovuto essere con la famiglia, progettando un viaggio di lavoro. E invece niente viaggio e niente famiglia…
No, non è vero!
Questa Pasqua, anche se in Quarantena, è stata per me stupenda.
Con la mia famiglia abbiamo deciso di cucinare lo stesso menù, anche se a distanza.
Il sabato come da tradizione abbiamo dipinto le uova, quest’anno senza benedizione pasquale e preparato in diretta social i ravioli.

La domenica di Pasqua invece è iniziata con la filastrocca del nonno recitata a due voci e quattro cuori e poi si è pranzato tutti insieme con lo stesso menù.
Tante portate cucinate e un accessorio in più sulla tavola, il cellulare, perché grazie a lui le distanze si sono ridotte e ci si è sentiti più vicini.
Lontani, ma vicini.

Che mano ci ha dato la tecnologia in questo periodo… i social e le videochat ci hanno permesso di vedere la famiglia, di fare aperitivi social con gli amici, di organizzare cene a distanza… e di vedere migliaia di film grazie alle piattaforme in streamig.
E noi abbiamo il coraggio di lamentarci!
Forse perché è più facile lamentarsi che provare a reagire e apprezzare ciò che si ha.

Una piacevole abitudine non deve per forza essere cancellata. Basta solo saperla reinventare.
L’abitudine del caffè al bar con la mamma si è trasformata in un appuntamento quotidiano di “caffè social“, come lo abbiamo chiamato noi, con tanto di cin cin a distanza.

Non chiamiamola terza guerra mondiale e non lamentiamoci per ciò che un senso davvero non ce l’ha.

Prendiamo questo periodo come un’opportunità cercando di cogliere il buono.

Sentiamoci fortunati.

Impariamo a dire Grazie per ciò che abbiamo e non solo a vedere ciò che ci manca.

E cogliamo la bellezza delle piccole cose, perché sono quelle a scaldare davvero il cuore. 

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